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Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata

Posted by lorenatorresan su 10 dicembre 2009

Michela ha 24 anni. Se le chiedi del passato, ti dirà che si ricorda di essere sempre stata un po’ cicciottella e, conseguentemente, a dieta. Le ha provate tutte. Molte diete hanno anche funzionato, per un po’, ma ogni volta che Michela sospendeva la dieta di turno, tutti i chili persi tornavano. E con gli interessi! Da un po’ di tempo a questa parte inoltre l’alimentazione le è completamente scappata di mano. Il cibo sembra non bastarle mai. Non riesce a far passare il tempo tra un pasto e l’altro senza sentire la necessità di mettere la testa nel frigo, o nella dispensa, per abbuffarsi con quello che trova. Il cibo è diventato un’ossessione, pensa al mangiare continuamente anche se, quando poi mangia, le sembra di averne perso il gusto e il piacere. Purtroppo, inoltre, il suo peso sta continuando ad aumentare.

Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI), o Binge Eating Disorder (BED) è una patologia che solo recentemente è balzata all’attenzione degli studiosi di disturbi del comportamento alimentare. Infatti nel DSM IV-TR (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali pubblicato dall’APA, l’American Psychiatric Association) compare soltanto all’interno della generica categoria dei Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati, in quanto ai tempi della pubblicazione gli esperti non avevano ancora le idee ben chiare sulla natura di tale disturbo.

La pratica clinica evidenzia non solo che questo disturbo ha caratteristiche proprie che lo distinguono dagli altri problemi dell’alimentazione ma anche che la sua incidenza lo rende una patologia da non sottovalutare. La maggioranza dei dati epidemiologici sulla diffusione del  DAI nella popolazione italiana rivela un valore compreso tra lo 0.7% e il 4.6%. Considerando la fascia di popolazione a rischio per i DA (donne tra i 12 e i 25 anni di età) la percentuale sale al 6% (Todisco e Vinai, 2008). Percentuale che tende ulteriormente a salire nel caso di persone obese.

Ma che cos’è il Disturbo da Alimentazione Incontrollata?

Secondo il DSM IV-TR (APA; 2000) il DAI è caratterizzato da “episodi ricorrenti di abbuffata, senza l’utilizzo regolare degli inappropriati comportamenti compensatori”.

Una abbuffata è definita da due caratteristiche:

1)      Mangiare in un periodo definito di tempo (es. due ore, mezzora, etc.) una quantità di cibo indiscutibilmente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso intervallo di tempo o in circostanze simili.

2)      Sensazione di perdita del controllo sull’alimentazione durante l’episodio (es. sentire di non poter smettere di mangiare o di non poter controllare cosa o quanto si sta mangiando).

Le abbuffate si associano ad almeno 3 dei seguenti sintomi:

1)      mangiare molto più rapidamente del normale;

2)      mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni;

3)      mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati;

4)      mangiare in solitudine perché ci si vergogna di quanto cibo si sta assumendo;

5)      provare disgusto verso di sé, depressione o senso di colpa dopo ogni episodio.

Le abbuffate avvengono, in media, almeno 2 giorni la settimana per un periodo di 6 mesi. E’ presente un marcato disagio nei confronti del proprio comportamento alimentare. Ma si tratta di una soglia arbitraria, non significa che chi ha abbuffate meno frequenti stia meno male. E’ infatti importante valutare piuttosto quanto le abbuffate interferiscano con la salute e la qualità di vita di una persona.

Gli episodi di abbuffata non si associano all’uso regolare di inappropriati comportamenti compensatori (es. vomito, lassativi, esercizio fisico esagerato).

Ma se ogni tanto mi abbuffo significa che soffro di un disturbo alimentare?

Quanto precedentemente illustrato vuole porre l’attenzione sul fatto che per poter parlare di disturbo da alimentazione incontrollata non è sufficiente avere sporadici episodi di iperalimentazione. Non basta cioè mangiare in modo esagerato in singole occasioni, anche se ripetute nel tempo. Solo nel momento in cui sono soddisfatti tutti i criteri è possibile parlare di DAI.

In particolare è fondamentale prestare attenzione alla relazione che si ha con il cibo e porsi alcune domande. Ho deciso io di mangiare così tanto (perché ne avevo voglia, perché mi faceva piacere, per golosità, etc.) oppure non ne ho potuto fare a meno perché a un certo punto ho perso il controllo? Come ho mangiato: assaporando i cibi e gustandomeli o trangugiando tutto senza quasi accorgermi di quello che stavo ingerendo? E dopo che ho mangiato, come mi sono sentito: appagato anche se effettivamente avrei potuto mangiare meno o schiacciato dal senso di colpa e dal disgusto verso quanto appena fatto?

Solo valutando attentamente le risposte a queste domande è possibile giungere a una corretta valutazione del problema.

Perché alcune persone si abbuffano?

Il DAI, come gli altri disturbi dell’alimentazione e come la quasi totalità dei disturbi mentali, è ritenuto una patologia a genesi multifattoriale. Che cosa significa? Significa che per sviluppare questo disturbo è necessario che ci sia una molteplicità di cause tutte contemporaneamente presenti nell’esistenza di una persona, interne o esterne, e che solo dall’interazione tra queste differenti variabili può nascere il disturbo. Avremo dei fattori che predispongono al disturbo (genetici, neuroendocrini, psicologici, sociali), altri che lo scatenano (es. diete, situazioni di stress o di difficoltà) e, infine, altri che una volta instaurato lo mantengono. In mancanza di un modello in grado di comprendere tutte le variabili coinvolte nello sviluppo di tale disturbo, molte sono le teorie proposte dagli studiosi. E’ possibile individuare due grandi filoni di pensiero: le teorie della restrizione alimentare e i modelli della spinta emotiva.

1) Teoria della restrizione alimentare

Secondo il MODELLO DELLA RESTRIZIONE ALIMENTARE le abbuffate sarebbero la diretta conseguenza di una dieta. Diversi studi evidenziano come le abbuffate si verifichino nella maggior parte dei casi durante i periodi di dieta ferrea[1] o in conseguenza di tale periodi. Uno dei possibili meccanismi attraverso cui la dieta ferrea porta alle abbuffate è quello legato alle alterazioni della fame e della sazietà. Le diete portano a un aumento della fame e dell’appetito nei confronti dei carboidrati in particolari e a un’alterazione alterata della sazietà. Ciò favorisce l’assunzione di elevate quantità di cibo.

L’organismo lotta contro le diete

a) Riduce il consumo di energia: si abbassa il metabolismo

Più scarse sono le quantità di cibo e le calorie che forniamo al nostro organismo, più esso si “adatta” risparmiando energia, cioè consumando sempre meno calorie. Questo meccanismo è stato selezionato dall’evoluzione in quanto è molto utile se ci troviamo in mancanza di cibo, come in una carestia, ma non lo è se iniziamo una dieta dimagrante: esso fa sì che perdiamo peso sempre più lentamente. Il corpo consuma sempre meno energia anche per un’altra ragione: con la dieta non perdiamo solo grasso, ma anche una quota considerevole di massa muscolare. Meno muscolo si ha, meno energia si consuma.

b) Altera i meccanismi di fame e sazietà, spingendo la persona a mangiare

La ricerca ha dimostrato che quando seguiamo una dieta si modificano nel nostro corpo i livelli di alcune sostanze che incidono sugli stimoli di fame e sazietà. In particolare, aumentano le sostanze che stimolano il senso di fame e diminuiscono quelle che inducono un senso di sazietà.

c) Fenomeno della disinibizione

Capita che, una volta cominciato a mangiare, non ci si riesca più a fermare, si perda il controllo. L’organismo cerca di recuperare le calorie perdute spingendoci a mangiar eil più possibile.

2) Modelli della spinta emotiva

Non tutte le abbuffate però dipendono da una dieta, in alcuni casi i loro antecedenti non sono legati a stimoli di fame o appetito ma a stati emotivi.

A questo proposito sono stati proposti diversi processi che potrebbero spiegare il legame tra abbuffate e emozioni negative.

a) Teoria dello scambio

Secondo tale teoria le abbuffate sono un modo per sostituire uno stato emotivo negativo insopportabile (es. depressione) con un altro meno intollerabile (es. il senso di colpa a seguito dell’abbuffata).

b) Modello della fuga dall’autoconsapevolezza

L’abbuffata diventa in questo modello un modo per concentrare l’attenzione della persona su uno stimolo preciso (es. il cibo) e distrarla così dall’emozione negativa presente.

c) Modello del blocco emotivo

Secondo cui le abbuffate servirebbero ad allontanare l’attenzione dell’individuo da stati emotivi intollerabili. A differenza del precedente modello la persona non viene distratta dal cibo, ma il cibo stesso assume la capacità di bloccare le emozioni negative, provocando un momentaneo effetto di sollievo.

d) Teoria del mascheramento

Le abbuffate in questo caso hanno il compito di mascherare i veri motivi di sofferenza dell’individuo, che può così permettersi di giustificare il proprio malessere come conseguenza del comportamento alimentare e non delle vere motivazioni.

La gestione delle emozioni attraverso le abbuffate crea, insieme alla scelta di fare una dieta, un potente circolo vizioso. Le abbuffate, qualunque sia il meccanismo che le innesca, danno luogo a emozioni negative che a loro volta possono portare a nuove abbuffate.


[1] Modalità di dieta ferrea: 1) saltare i pasti; 2) ridurre drasticamente le porzioni; 3) eliminare certi cibi

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